Cronache di vascello del capitano Aquindici by Silvana De Mari

Cronache di vascello del capitano Aquindici by Silvana De Mari

autore:Silvana De Mari [Mari, Silvana De]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Lindau
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


8

Ritorno

Gammaottododicidieci fu puntuale. Aquindici lo aspettava accovacciato sul marciapiede. Era solo. Aveva liberato Giuggiola e l’aveva mandata via, verso l’ospedale, dove nella stanza di Ilaria in tripudio ci sarebbe stata anche la cagnolina. Oramai sapeva traversare: non ci sarebbero stati incidenti. A Ilaria la cagnolina piaceva da impazzire. L’aveva sempre voluta. Ora poteva godersela. Il portellone si aprì.

Aquindici entrò, richiuse il portellone con la coda, salutò Gammaottododicidieci con un cenno del capo.

«Le dispiace occuparsi lei del decollo? – chiese – Sa, sono un po’ stanco». Gammaottododicidieci assentì. Al centro dell’astronave stava un secondo Drondolo, un nuovo tipo, che Aquindici non aveva ancora visto. Più grande, e con un’intersecatura di fili azzurri luminescenti che formavano una specie di rete. Aquindici guardò interrogativo Gammaottododicidieci.

«Perfezionato. Tutto sommato siamo gli unici pianeti abitati di tutto l’universo, abbiamo deciso di saperne di più di questi barbari. Abbiamo incamerato anche le religioni, per quello che può valere». Aquindici fece uno sforzo per non esultare. Sfiorò i filamenti luminescenti con la punta della coda.

In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e vuota, le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Gli vennero i brividi lungo la schiena. Lo sguardo della Signora era di nuovo dentro di lui. Erano già quasi fuori dell’atmosfera quando Gammaottododicidieci fece di nuovo sentire la sua voce.

«Com’è andata?» chiese.

«Bene» rispose Aquindici sereno.

«Imparato qualcosa?» chiese ancora Gammaottododicidieci. C’era un sottofondo maligno. Aquindici ne fu infastidito.

«Qualcosa non contenuto nel Drondolo? Sì. Ho imparato a piangere» rispose deciso.

«Cosa?».

«Acqua dagli occhi. Acqua e cloruro di sodio per la precisione. C’è anche qualche traccia di proteine».

«Il significato lo sapevo. Era sbalordimento il mio, non la richiesta di ulteriori informazioni».

«Ho imparato a piangere. Mi è costato l’immortalità. Ora posso morire. Anche invecchiare». Aveva imparato il dolore, aveva imparato la morte. Aveva imparato che non erano dannazioni: senza, la vita non avrebbe avuto senso. Gammaottododicidieci restò senza parole. Ci furono diversi secondi di incantevole silenzio, che poi però, come tutte le cose belle, finirono.

«Io l’ho sempre considerata un idiota – boccheggiò Gammatrenta. – Ora mi accorgo di averla sempre sopravvalutata».

«Succede» approvò Aquindici.

«Come le è venuto in mente? Cosa accidenti ha guadagnato perdendo l’immortalità?».

Acqua non dovette pensarci su prima di rispondere: «La morte, appunto. Ora ogni istante ha un senso. Ha valore. Dove non c’è perdita non può esserci letizia» spiegò, più che altro per passare il tempo. Sapeva che l’altro non avrebbe capito. «Vede, quando paghiamo carissimo qualcosa che non ha prezzo, abbiamo comunque fatto un affare».

Stavano già uscendo dal sistema solare quando Aquindici si accucciò tranquillo vicino al Drondolo. Se ne restò lì, mentre la piccola astronave sfrecciava in mezzo a galassie e buchi neri, dove i fotoni non potevano accendere la luce perché non c’era l’interruttore. Un uomo combatté con un angelo. Un fratello fu venduto dai fratelli. Un popolo in fuga attraverso un deserto e poi attraverso un mare.

Aquindici si fermò. Doveva essere più lento, non troppo in fretta. Doveva capirlo bene perché poi avrebbe dovuto spiegarlo. Gli vennero in mente gli elefanti che non sono rosa.



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